Rivista SIMG (www.simg.it)
Gennaio 1998

Comitato Nazionale per la Bioetica
Nota sulla sperimentazione e l’impiego di nuove terapie farmacologiche
Risposta al quesito posto dall’IST di Genova
in merito al "caso Di Bella"

1. Il Comitato Nazionale per la Bioetica, riunito in seduta plenaria il 16 gennaio 1998, richiesto, con lettera del 2 Gennaio 1998, dal Comitato Etico dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di esprimere il proprio parere sulla vicenda della terapia antitumorale proposta dal prof. Di Bella, ritiene di doversi limitare ad una breve risposta che riassume gli aspetti etici essenziali del problema quali si possono ricavare dai principi generali esposti nel proprio documento "La sperimentazione dei farmaci" pubblicato il 17 novembre 1992, dalle norme giuridiche e dalle regole deontologiche attualmente vigenti. Tra queste assumono primaria rilevanza, da un lato, i documenti comunitari ed i Decreti del Ministero della Sanità del 27 aprile 1992 ed il più recente del 15 luglio 1997 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 agosto 1997) che stabilisce il "Recepimento delle linee guida dell’Unione europea di buona pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali"; dall’altro, le regole di comportamento dettate ai medici dal Codice di Deontologia Medica del 1995.

In relazione alla terapia proposta dal dott. Di Bella, il Comitato fa rilevare che questa ha sollevato, in modo acuto, e purtroppo confuso, il rilevante problema, ovunque dibattuto da tempo, degli scopi dei valori scientifici ed umani, e dei confini, della medicina e della sperimentazione biomedica e dei loro rapporti con l’allocazione delle risorse, tema sul quale il Comitato Nazionale per la Bioetica sta ultimando la preparazione di un proprio documento di prossima pubblicazione.

2. Il problema di qualsiasi nuova terapia, sia essa basata sull’impiego di farmaci di nuova produzione o sull’associazione di farmaci già noti e su loro nuove indicazioni rispetto a quelle originarie, ovvero sia basata su nuove tecniche, invasive o meno, di vario tipo, deve trovare soluzione, anzitutto, attraverso il vaglio critico affidato alla ricerca scientifica e reso noto nella letteratura specifica ed attraverso le società scientifiche. Queste ultime, negli anni più recenti, hanno lodevolmente incrementato il ricorso a "Consensus Conferences" o ad altre forme di Protocolli e Linee-guida nei quali l’evoluzione della scienza medica applicata viene puntualizzata dopo periodiche verifiche ed approvazioni che rappresentano un moderno, essenziale strumento di aggiornamento e di guida dei medici nella selezione dei trattamenti diagnostici e terapeutici più accreditati, individuati nel gran numero di proposte che ogni anno occupano le riviste mediche.

Questa attività di filtro critico si formalizza quindi, in ciascun paese, attraverso il controllo e l’approvazione degli organi istituzionalmente deputati. In Italia la legge stabilisce che spetta al Ministero della Sanità il delicato compito di autorizzare la vendita di nuove specialità medicinali dopo che queste siano state adeguatamente sperimentate con il massimo rigore scientifico, sia in ordine alla loro reale efficacia, sia in relazione all’assenza di effetti collaterali che possano per il paziente costituire danno maggiore rispetto al prospettato vantaggio.

L’autorizzazione al commercio di una determinata specialità medicinale, sia essa costituita da un unico farmaco efficace, ovvero da razionali associazioni farmaceutiche, è poi seguita dalla classificazione della specialità in classi che, tenuto conto della rilevanza del medicamento - sotto il profilo dell’aumento dell’aspettativa di vita, della riduzione dell’invalidità conseguente alla malattia, e del miglioramento della qualità di vita - e nel contempo, dei limiti delle risorse di cui dispone il Servizio Sanitario Nazionale, consentano la totale o parziale gratuità del farmaco a chi ne abbia la reale necessità e sia in possesso dei differenziati requisiti che sono normativamente stabiliti.

Ne consegue che il Ministero della Sanità, di fronte ad una associazione di principi attivi - quale risulta essere alla base della cura proposta dal prof. Di Bella che non risulta sperimentata ufficialmente secondo i criteri tassativi normativamente previsti, né all’estero né in Italia - non possa di norma adottare provvedimenti in contrasto con le regole nazionali ed internazionali avendo il Ministero la responsabilità, nei confronti di tutti i cittadini, del controllo che gli compete, anche sotto il profilo dell’impiego delle risorse. La richiesta del Ministero di fornire prove preliminari atte a giustificare l’inizio formale di una sperimentazione, è dunque dettata dall’obbligo della rigorosa obbedienza alle norme nazionali, comunitarie e più latamente internazionali. In casi particolari, peraltro, il Ministero può concedere l’autorizzazione anticipata, e temporanea, a procedere ad alcune sperimentazioni che tuttavia, nella successiva fase operativa, devono comunque seguire con rigore le regole normativamente stabilite. Nelle gravi patologie oncologiche o infettive, ad esempio, è possibile procedere a sperimentazioni di "fase 2" direttamente sul paziente.

3. La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, ed i Presidenti degli Ordini, hanno dal canto loro il dovere di richiamare i medici all’obbligo di rispettare le leggi dello Stato e contestualmente quello di uniformarsi alle regole dettate dal Codice di Deontologia Medica del 1995 sia all’art. 12 del Capo IV che all’art. 46 ultimo comma del Capo VIII.

L’art. 12 attribuisce al medico piena autonomia nella scelta e nell’applicazione di metodi diagnostici e terapeutici ma nel contempo stabilisce che "ogni prescrizione e ogni trattamento devono essere comunque ispirati ad aggiornate acquisizioni scientifiche, alla massima correttezza ed alla osservanza del rapporto rischio-beneficio" e che "il ricorso a terapie nuove è riservato all’ambito della sperimentazione clinica e soggetto alla relativa disciplina. Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie segrete, scientificamente infondate e non supportate da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, oppure atte a suscitare illusorie speranze".

L’art. 46 stabilisce inoltre, al primo comma: "La sperimentazione deve essere programmata secondo adeguati protocolli e aver ricevuto il preventivo assenso di un comitato etico secondo la normativa vigente".

Tuttavia lo stesso Codice di Deontologia Medica, all’art. 82 (Pratiche alternative) stabilisce al suo primo comma: "La potestà di scelta di terapie e metodi innovativi o alternativi rispetto alle consolidate esperienze scientifiche si esprime nell’esclusivo ambito della diretta e non delegabile responsabilità professionale" del medico.

4. Entrando così ad esaminare il problema della cura di singoli pazienti si deve prendere atto che il medico, in base allo stato attuale delle conoscenze, può ritenersi obbligato ad avvalersi - se sussiste uno stato di necessità urgente, perché il paziente versa in pericolo di vita o di grave ed irreversibile danno alla salute e non si prospetta una concreta possibilità di utilizzo di terapie già conosciute ed ufficialmente accettate dalla scienza medica ufficiale, ovvero se tali cure non hanno prodotto alcun positivo effetto - anche di terapie alternative, e sempreché esse abbiano una ragionevole giustificazione, benché non ancora verificate sperimentalmente nelle forme di legge e non ancora approvate ufficialmente, e purché non producano effetti dannosi.

Si tratta di situazioni limite che si collocano ai confini tra i precetti dell’art. 12 e quelli dell’art. 82, il quale, ultimo, in sostanza, apre la strada a tentativi di soluzioni innovative od alternative che tuttavia non possono sostituirne altre di sicura e dimostrata efficacia, per cui devono riservarsi a casi estremi. E’ dunque lecito, ad un medico, proporre ed attuare nuove terapie con tecniche o farmaci nuovi od utilizzati per fini diversi da quelli ufficialmente indicati, ma a condizione che sussista un oggettivo stato di necessità medica, implicante grave rischio per la vita e per la salute, tale da giustificare tentativi estremi, purché dotati di una riconoscibile ragionevolezza. E’ ovvio, nel contempo, che non è pensabile che questi tentativi "innovativi o alternativi" possono tramutarsi in autorizzazioni formali e generalizzate, anche in relazione alla gratuità o meno, che appartengono invece alla piena responsabilità del Ministero competente.

L’aspetto economico, connesso all’elevato costo di taluni farmaci, non sopportabile per la maggior parte dei pazienti, è sicuramente il più difficile nodo pratico, e soprattutto etico, che si individua nei problemi suscitati dalla cura proposta dal Prof. Di Bella, che più volte si sono presentati anche in passato, e quasi sempre in relazione a malattie oncologiche - nei quali occorre distinguere tra i compiti del Ministero della Sanità e del Servizio Sanitario Nazionale da un lato, e la responsabilità professionale del singolo medico curante professionalmente preparato, consapevole ed equilibrato dall’altro, che può adottare condotte differenziate caso per caso, illuminato dalle proprie nozioni di base, dal principio generale dello stato di necessità ed anche del dovere professionale ed umano di consentire per quanto possibile la speranza senza, nel contempo, far coltivare ingiustificate illusioni.

Queste singole decisioni professionali, che in genere implicano non solo il consenso informato del paziente, ma spesso la sua pressante richiesta, possono incontrare oggettive difficoltà attuative di fronte all’ostacolo dei costi il quale, nell’attesa di verifiche ufficiali, potrebbe forse risolversi attraverso il volontario contributo dei cittadini così come di frequente avviene per altre circostanze della ricerca e della pratica medica; ovvero con decisioni pubbliche temporanee motivate anch’esse, in definitiva, dalla posta in gioco - la vita dei pazienti - quando sembrino esaurite tutte le risorse della medicina ufficiale e si renda socialmente accettabile aderire alle richieste dell’opinione pubblica di una sperimentazione urgente ed in provvisoria deroga alle norme vigenti.

5. Il duplice e differenziato aspetto del problema deve dunque essere presente ad ogni Comitato Etico: il quale non può approvare ricerche sperimentali in deroga alle regole vigenti, specie dopo il recepimento in Italia delle linee-guida dell’Unione europea di buna pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali. Solo in casi eccezionali il Comitato Etico può decidere, autonomamente e motivatamente, parziali deroghe a queste regole.

Se un Comitato Etico di struttura viene richiesto di un parere, che non implica una sperimentazione organica secondo le norme vigenti, bensì soltanto il giudizio di eticità o meno di una terapia inusuale od alternativa praticata, su di un singolo paziente, tale parere del Comitato - del resto non vincolante perché grava su ogni singolo medico e non è delegabile, la responsabilità professionale di decisioni di terapie innovative ed alternative - potrà essere in linea di massima favorevole a condizione che sussistano, in quel caso particolare, le condizioni di gravità da un lato, e di inutilizzabilità delle terapie consolidate dall’altro, tali da configurare un reale stato di necessità che può giustificare qualunque ragionevole tentativo alternativo.

Approvato all'unanimita' nella seduta plenaria del 16 gennaio 1998.