Rivista SIMG (www.simg.it)
Febbraio 1998

Il caso Di Bella: Come essere medico oggi ?
P.Lattari
Medico Generale -  Pistoia

 In questi giorni credo sia esperienza comune di noi Medici di Medicina Generale dover rispondere più volte al giorno alla domanda: "Dottore, cosa ne pensa della cura Di Bella?", questione, indubbiamente, di non poco conto.

Riflettendoci un po’ mi sono ritrovato a considerare tale problema non tanto dal punto di vista medico, quanto da quello sociologico, non avendo la possibilità, ovviamente, di valutare tale cura dal punto di vista scientifico. E questo è normale, dato che il metodo scientifico prevede non tanto una esposizione di intenti e/o di risultati verbali, quanto la possibilità della validazione attraverso studi controllati e riproducibili.

Mi sono posto il problema, dunque, non sulla cura Di Bella o su Di Bella in quanto uomo o medico, ma, se vogliamo, sul fenomeno sociale Di Bella. Fenomeno sociale perché ha interessato, ed interessa, l’opinione pubblica, i media, le istituzioni politiche, gli organismi sovranazionali e quant’altro. E’ un fenomeno sociale anche perché rientra nel campo della salute, cioè della medicina, cioè della scienza in senso lato; alla fine rientra, dunque, nel grande contenitore delle "rappresentazioni collettive" di Durkheim, o, più recentemente, delle "rappresentazioni sociali" di Moscovici.

Durkheim pose tali rappresentazioni sociali all’interno della sua teoria della società, contribuendo ad un capitolo importante della sociologia della conoscenza: a proposito delle categorie conoscitive, cioè degli strumenti mentali attraverso cui gli uomini conoscono, egli si pose come terzo rispetto agli aprioristi che sostenevano che le categorie sono date all’uomo prima della esperienza empirica, e rispetto agli empiristi, i quali, al contrario, derivano le categorie dall’esperienza sensibile. Secondo il sociologo francese, invece, le categorie sono sì vincolanti per l’individuo, ma hanno origine sociale, tanto che variano da società a società: sono le rappresentazioni collettive, che comprendono tutte le forme intellettuali come la religione, la morale, il diritto, la scienza e così via. Tali fenomeni non possono essere studiati dalla psicologia, ma dalla sociologia, in questo riprendendo efficacemente la separazione effettuata da Wundt fra la psicologia individuale e quella sociale (Volkerpsychologie).

Moscovici nel 1961 studiò l’introduzione della psicanalisi in Francia, e si trovò a definire come strumento di conoscenza le "rappresentazioni sociali" distinguendole da quelle collettive di Durkheim per una maggiore mobilità intrinseca: sono fenomeni le cui origini possono e devono essere individuate, le cui dinamiche interne devono essere spiegate, la cui struttura deve essere descritta. Le rappresentazioni sociali sono l’elaborazione di un oggetto sociale da parte di una comunità che permette ai suoi membri di comportarsi e di comunicare in modo comprensibile. Non sono semplicemente "opinioni su...", "immagini di..." o "atteggiamenti nei confronti di...", ma teorie o branche di conoscenze vere e proprie, utili per la scoperta e l’organizzazione della realtà. Dal momento che "trattano" un evento singolare o materiale simbolico già esistente, le rappresentazioni sociali sono prima di tutto dei nodi di ri-costruzione sociale della realtà. Si parla di ri-costruzione e non di costruzione della realtà sociale, come fanno Berger e Luckmann, perché per elaborare una rappresentazione sociale si parte sempre da un fenomeno percepito come rilevante o da una struttura materiale o intellettuale già esistente: p. es. una teoria scientifica prima che entri nel senso comune.

Ecco come la cura Di Bella entra nella ri-costruzione della realtà: non solo attraverso gli "atteggiamenti nei confronti di..." o le "opinioni su..." ma, soprattutto, attraverso tre fenomeni già strutturati: il "fenomeno cancro", le "medicine alternative", "il metodo scientifico".

Riguardo al primo, è evidente che nell’immaginario collettivo la parola "cancro" evoca scenari del tutto apocalittici, per l’individuo e per la comunità: l’equazione cancro=morte non è cambiata di molto con il passare degli anni, a dispetto degli ottimi risultati che la ricerca scientifica ha ottenuto. Perché?

Riguardo alle medicine alternative, non è curioso che il progresso scientifico non abbia marginalizzato tali "medicine" e che, al contrario, la sensazione comune è che il ricorso a tali pratiche sia sempre più frequente?

Riguardo al terzo punto, il giudizio sull’efficacia di un intervento medico, inteso genericamente, su quali basi viene fondato dagli operatori del settore? e dai fruitori di tale intervento?

Le "rappresentazioni sociali" ci vengono in aiuto: la comunicazione in positivo che dovrebbe giungere ai cittadini attraverso la comunità scientifica è mancata in gran parte, mentre ha assunto sempre maggiore visibilità tutto ciò che è considerato sensazionale, non strutturato, in poche parole "altro" rispetto al lavoro quotidiano di noi medici. Voglio dire che la rappresentazione sociale "cancro" si è strutturata nel suo prodotto (cioè i contenuti di pensiero e di immagine propri di ogni rappresentazione) come "si può guarire solo al di fuori di quello che è stato fatto, fino ad ora", mentre nel suo processo (cioè i meccanismi attraverso cui ogni rappresentazione sociale si costituisce) si è formata come "le cure alternative sono più vicine all’uomo e sono più efficaci". Dunque la "cura Di Bella" è diversa da quello che è stato fatto finora, ed è alternativa rispetto all’esistente, dunque viene a cessare l’equazione cancro=morte per essere sostituita da quella medicina "diversa"=medicina che guarisce.

Il problema che sorge, allora, è questo: se le rappresentazioni sociali sono una modalità di ristrutturazione della società, dobbiamo porre molta attenzione a che tale nuova rappresentazione non provochi una ri-strutturazione che condizioni comportamenti di maggiore sfiducia nella medicina e negli approcci tradizionali ai problemi medici da parte anche degli ammalati, che, ovviamente, sopportano in misura enorme il problema contingente.

La posta in gioco non è solo la validità o meno di una terapia, ma, soprattutto, la validità di una storia secolare di atteggiamenti e di comportamenti condivisi da parte della comunità scientifica.

Noi Medici di Medicina Generale possiamo giocare un ruolo importante nella gestione di questa fase cercando di impegnarci nel dare comunicazioni quotidiane ai nostri pazienti sulla validità del metodo scientifico, sulla bontà della ricerca nel campo medico, sulla certezza di tanti risultati positivi nella cura della malattie gravi come il "cancro". Noi dovremmo, cioè, prendere posizione del corretto "essere medico" oggi, il che significa presenza quotidiana, formazione continua, assunzione di responsabilità, confronto con la comunità scientifica.

 

Bibliografia:

Durkheim, E. - Représentations individuelles et représentations collectives (1898) in A. Izzo (a cura di), Durkheim, Il Mulino 1978

Moscovici, S. - La psychanalise, son image et son public, Paris, Presses Universitaires de France 1961

Palmonari, A. - Processi simbolici e dinamiche sociali, Il Mulino 1989