Rivista SIMG (www.simg.it)
Maggio 1998

Piu' giudizi clinici, meno giudici clinici

A.Pagni Presidente SIMG

Un Magistrato torinese indaga sulla sperimentazione in corso sul metodo Di Bella perché sospetta che si stia falsando il protocollo, firmato dal Professore modenese, con l’aggiunta del tamoxifene in un gruppo di pazienti di controllo.
Il pretore di Maglie esibisce trionfante i risultati positivi ottenuti in venti pazienti curati con il MDB in un Ospedale della provincia di Lecce, solleva eccezione di costituzionalità sul Decreto Bindi che regola la sperimentazione della multiterapia, e consegna ai posteri un pamphlet sul caso Di Bella, "Il camice e la toga", perché la storia non si dimentichi di lui.
"Invece di viversi come uomo della provvidenza - ha commentato A. Grasso sul Corriere della Sera - farebbe bene a meditare. A pensare alle devastazioni interiori o forse anche materiali che ha scatenato con i suoi provvedimenti in favore della somatostatina libera".
Il tribunale amministrativo dichiara che siamo in presenza di un "fumus" (?) di efficacia dei farmaci del Di Bella e di una loro certa sicurezza (?) e che pertanto debbono essere concessi a tutti.
Le polemiche in atto sulla sperimentazione della terapia Di Bella rivelano che i metodi della ricerca scientifica sono poco familiari ad alcuni giornalisti e ancor meno ai giudici.
La ricerca clinica, pur con i suoi limiti, rappresenta l’unico strumento utile per valutare l’efficacia e la tollerabilità di una terapia.
La probabilità di scoprire nuovi farmaci antitumorali sulla base di impressioni derivanti da ricerche non concluse, o per la osservazione di eventuali risultati favorevoli in alcuni casi, è scarsa e non vi è alcun affidamento quanto a efficacia e sicurezza.
Nel caso della terapia Di Bella la successione logica delle fasi della ricerca dagli studi sugli animali alla sorveglianza postmarketing è stata sconvolta perché la ricerca è stata decisa dal Governo, per la pressione di un’ondata emozionale senza precedenti dei cittadini e per alcune strumentalizzazioni che hanno risparmiato pochi partiti.
E tuttavia, nonostante l’anomalia della situazione, la ricerca ha mantenuto una sua coerenza logica.
La sperimentazione non è stata promossa infatti né dalla Azienda produttrice, né dal suo scopritore che, anzi, almeno inizialmente l’ha ostacolata e ha continuato ad esprimere dubbi sulla sua utilità, ed è stata preceduta da una pratica empirica, iniziata molti anni orsono, senza che i Ministri della Sanità del passato intervenissero a chiederne la interruzione a norma delle leggi vigenti, e gli Ordini dei medici prendessero provvedimenti.
I farmaci usati dal Prof. Di Bella non sono "nuovi" ma impiegati per indicazioni non autorizzate, in associazioni non previste e a dosaggi insoliti.
Non erano più possibili in questo clima prove tossicologiche sull’animale, né studi di fase 1 (tossicità acuta nell’uomo, dose massima tollerata e studio del profilo farmacologico) né si poteva riaprire un protocollo di fase 3 (confronto tra terapie convenzionali e nuova pratica terapeutica) in assenza di risultati relativi alla attività del/dei farmaco/i derivanti da una fase 2.
Le numerose guarigioni vantate dal Prof. Di Bella (che peraltro non ha mai reso noti i suoi dati globali né analitici) e le testimonianze dei suoi beneficiati hanno rappresentato l’equivalente di osservazioni casuali suscitatrici di una verifica di fase 3.
Una fase 3 era tuttavia difficile in questa circostanza e perché è eticamente inaccettabile che, trattandosi di malati neoplastici, alcuni siano sottoposti casualmente, e a loro insaputa, e ad insaputa del medico, a farmaci di provata efficacia (sia pure limitata) e altri a farmaci di non dimostrata efficacia, e perché studi del genere per le malattie tumorali richiedono tempi molto lunghi vista la variabilità della storia naturale dei tumori.
Uno studio di fase 2, non controllato, consente invece di valutare in tempi brevi l’efficacia di un farmaco sia in termini di miglioramento soggettivo della qualità di vita del paziente sia in termini di riduzione della massa tumorale, e rende possibile una eventuale successiva fase 3.
Le ricerche tuttavia si fanno in silenzio e con molta riservatezza, ma questa sperimentazione si svolge invece nel clamore più assordante e sotto l’occhio dei mass-media, mentre migliaia di cittadini chiedono di essere inclusi nella sperimentazione contro ogni logica prudenza e tradizione.
Anche la Magistratura ha svolto un suo ruolo un po’ ingombrante in questa vicenda tanto che un editoriale della autorevole Rivista Inglese "Lancet" titolava, in gennaio, "Meno giudici clinici e più giudizi clinici".
Non ho elementi per giudicare la coerenza e la legittimità di alcune sentenze ma esse paiono scaturite da una premessa indimostrata: la presunzione di una qualche efficacia della cura Di Bella e un’altrettanta presunta innocuità.
Il risultato è che la sperimentazione, contrariamente ad ogni prassi consolidata, è iniziata senza che fossero interrotte le terapie in atto, e contemporaneamente i cittadini hanno manifestato sulle piazze in difesa del loro diritto ad ottenere la terapia Di Bella ad ogni costo.
In definitiva il decreto del Ministro Bindi tanto contestato non ha fatto altro che prendere atto di una situazione dominata dal dramma dei pazienti e dall’angoscia dei loro familiari ed ha cercato di "legalizzare" eventi sfuggiti ad ogni razionalità fin quando non si sarà conclusa la sperimentazione, garantendo, attraverso il consenso informato, una scelta consapevole per il proprio destino sia a coloro che rientrano nei protocolli della ricerca che a coloro che vogliono curarsi con la terapia Di Bella.
Appare pertanto pretestuosa e strumentale la protesta dei Di Bella e dei medici "Di Belliani" contro il decreto che impedirebbe di curare i pazienti.
La decisione di alcuni di loro di non rilasciare più ricette ma di fornire ai pazienti, dopo una visita, "suggerimenti" anonimi sulla terapia, da far trascrivere ai medici di famiglia, è un atto di irresponsabilità professionale intollerabile e un ricatto morale ignobile.
Certamente il decreto impedisce loro di rilasciare fotocopie di ricette, a pagamento, senza visitare neppure il malato come pare abbiano fatto alcuni di loro.
E tuttavia le sorprese paiono non aver fine in una situazione nella quale si intrecciano comprensibili speranze fideistiche, ostentate e arroganti presunzioni di verità non dimostrate e minacciose mobilitazioni di piazza sapientemente orchestrate.
Medici, comunità scientifica, mondo accademico, ordini e sindacati medici, Parlamento, pubblici amministratori, magistrati e giornalisti, ognuno per la sua parte di responsabilità, dovranno riflettere con onestà intellettuale e umiltà su quanto è accaduto , e sta accadendo, nel nostro Paese.
"Il caso Di Bella - ha scritto ancora A. Grasso - è un capitolo nero della medicina e dei media, una mistura di strozzinaggio dei sentimenti e di speculazioni incontrollate".
Gli unici incolpevoli sono i malati!