E' tempo di cure palliative a domicilio.
C.Blengini
Medico Generale - Dogliani (Cuneo)

M.Cancian Medico Generale

A 20 anni dalla sua istituzione il Servizio Sanitario Nazionale scopre l’esistenza della cura domiciliare ai malati cronici, in particolare scopre che i malati di cancro in fase terminale possono essere curati a casa.
Usare il verbo scoprire non è una forzatura, in questi 20 anni l’ospedale è stato il punto di attrazione delle risorse, delle energie, delle attese. Tutto ciò che stava fuori era, appunto, fuori.
Negli ultimi anni una improvvisa quanto improvvisata attenzione verso l’uso delle risorse, sta spostando l’interesse degli amministratori dei servizi sanitari verso il territorio, il tutto con molta fretta.

Non c’è tempo per analizzare i problemi dei servizi territoriali, per valutare le possibili soluzioni, per consentire una crescita graduale dopo aver costretto per tanto tempo all’inerzia, alla mancanza di sviluppo.
Non c’è tempo per favorire la diffusione della cultura della palliazione, che è soprattutto medicina di relazione, poca tecnologia e molta umanità, in controtendenza con la medicina tecnologica, di organo, di malattia.

Quella del malato grave a casa è una cultura che si è andata perdendo, ma che pian piano ricompare grazie a nuove sensibilità, al volontariato; tale ripresa però è ancora fragile e va sostenuta, accompagnata con pazienza: per questo serve tempo.
Molti Medici Generali hanno colto questa tendenza, il bisogno dei malati di essere curati a casa quando è possibile, di non soffrire, di non subire terapie inutili, ed hanno spesso dato risposte appropriate soprattutto se esisteva la possibilità di avere assistenza a casa, grazie ad aiuti informali, alla famiglia, al volontariato, spesso in stretta collaborazione con infermieri ed altri medici. In assenza di questa rete di assistenza è difficile rimproverare scarsa attenzione alle cure domiciliari, era obbligatorio rinunciarvi, nell’interesse degli ammalati.
Nel sentire una parte degli specialisti, soprattutto i più organizzati, e una parte del volontariato, quella sempre meno riconoscibile come no profit, che esercitano pressioni per "specializzare" le cure palliative, impedendone così la diffusione e snaturandone il senso più vero e più profondo, temiamo che qualche amministratore frettoloso possa immaginare una soluzione già altre volte sperimentata: uno specialista, una tabella "cure palliative", magari in un ospedale fatiscente, a fianco del diabetologo.

C’è bisogno invece, specie con risorse limitate, di avviare programmi di sviluppo delle cure domiciliari prevedendo obiettivi intermedi, investendo su una formazione multidisciplinare, arrivando a garantire la permanenza a casa ai malati meno problematici (circa l’80% del totale), e successivamente e gradualmente porsi l’obiettivo di rispondere a domicilio anche a problemi più complessi, favorendo quella integrazione tra Medici Generali, specialisti, infermieri ed altri operatori che solo lavorando e crescendo insieme riusciranno a dare risposte ai bisogni di malati tra i più fragili.

Il tempo, volendo, si trova.